Sul fallimento.

Lorem ipsum dolor sit amet – consectetur adipiscing elit

Se non hai mai visto “Jodorowsky’s Dune”, ti consiglio di rimediare. Corri a vederlo, subito, soprattutto se anche tu, nella vita, ogni tanto pensi di avere qualcosa da dimostrare, e ti affanni per raggiungere un risultato che renda finalmente giustizia al tuo valore. 

Per me questa storia di cercare conferme è cominciata presto, e forse oggi, 8 marzo 2022, all’alba dei miei 36 anni, è arrivato il momento di provare a parlarne.

Il solo ricordo  che mi porto dietro dalla scuola dell’infanzia è quello dei miei piedi da mezzana che tentano di arrampicarsi sul castello in plastica fluo del salone. Non ricordo solo i piedi, ma anche i pensieri: “Devo arrivare in cima, così sarò più brava dei grandi e più forte dei maschi”. 

Da quel primo, lontano istante in poi, è stata tutta una scalata, da un voto all’altro, da un risultato all’altro, saltando da un appiglio al successivo con gli occhi semichiusi e una gran paura che fosse giunto il momento della verità, e cioè il momento del fallimento.  

Verità e fallimento, per qualche strano motivo, viaggiano in coppia quando si cerca il proprio valore fuori da sé. Ogni conferma incoraggiante è fugace, dura il tempo di un sospiro e di un brindisi, tutto il resto è un conto alla rovescia, un continuo inseguire e sfuggire l’istante in cui il confronto con la realtà si renderà manifesto. Ed è il meccanismo della prova diabolica: ciò che si cerca non è una conferma del proprio valore, ma una smentita della propria predestinazione a fallire.

Era forse Erri De Luca che parlava degli angeli come di “coloro che rivelano la possibilità e la mancanza”. Non ho mai sentito nulla di più bello. Quando il senso del fallimento è interiorizzato, lo si persegue così, scleroticamente, danzando per propiziarlo e scongiurarlo al tempo stesso, come se fosse il più spaventoso degli angeli.

Se queste mie parole ti dicono qualcosa, Jodorowsky’s Dune è il film che fa per te, perché documenta la mitica storia di un fallimento straordinario. Un fallimento senza appello, senza scuse, ingenuo e clamoroso. Riesci a immaginartelo? Proprio lui, l’uomo delle coincidenze, il mistico stralunato, ha fallito nel progetto in cui maggiormente aveva riposto il suo significato, un grande film spirituale a cui aveva sacrificato anche l’infanzia del figlio. 

Forse, alla fine dei conti, l’impresa più grandiosa di Jodorowsky è stata proprio il suo fallimento, che non è accaduto tecnicamente “in sordina”, ma ha coinvolto un cast scomodissimo di intelligenze e personalità. Salvador Dalì, i Pink Floyd, Orson Welles, Moebius, tutta gente a cui un bel giorno lo sciamano ha dovuto dire “Niente, ragazzi, non ce l’ho fatta. Avete presente il progetto a cui stiamo lavorando da anni? È naufragato per sempre”. 

Ancora oggi quando penso alla prospettiva di fallire arrossisco tra me e me, e mi domando come farei a dirlo, a dichiararlo. Ecco che i nodi vengono subito al pettine: com’è insistente questo sguardo che va e ritorna, com’è radicata questa povera competizione tra me e me stessa. Anche questa, a suo modo, è una misera guerra. 

La cosa che più mi ha salvata e commossa di questo bellissimo film è la miscela di umanità e grandezza che mette in scena senza nascondimenti. (“Miscela”, fra parentesi, è uno dei molti significati della parola “yoga” in sanscrito.) Nonostante la grandiosità delle proporzioni del suo fallimento, anche Jodorowsky è arrossito come me. Anche lui ha pensato “Non ci vado mica al cinema a vedere Lynch che realizza il mio sogno”, e poi ha pensato “Ci vado, ma con la morte nel cuore”. Anche lui ha pensato “Adesso muoio di dolore!” e poi si è detto “No, si va avanti!”.

A salvarci sempre dalla guerra e dal fallimento, alla fin fine, è forse questo tipo di onestà, il coraggio di lasciarsi sentire, lasciarsi bruciare, infiammare, piangere, persino invidiare, ma farlo apertamente, guardandosi allo specchio.

Alle persone che riconoscano la propria umanità è concesso di provare tutto, senza condanna. Quando cerco una prova della bontà di Dio – e di questi tempi non nego che faccio molta fatica a trovarne mezza – mi viene in mente proprio questa autorizzazione a essere.  

Abbiamo sempre il diritto di sentire, fino a quando il sole tramonta, e abbiamo la possibilità di spogliarci in questo sentire. Basta non simulare.

Saremo tutte e tutti per sempre grati a Sorrentino per aver tirato fuori dal dizionario quel verbo che eviterò di nominare perché è troppo bello per essere ridetto. Tenersi uniti a se stessi è la via.

E adesso che fai, ti ucciderai?
Qualcuno che certamente non aveva la stoffa dello psicologo ha avuto il coraggio di chiedere a Jodorowsky persino questo.

No, si va avanti!”
Gli ha risposto lui.

Il fallimento per me comporta solo di cambiare strada”. 

Iscriviti alla Lettera Spaziale

La newsletter di Spazio Celeste

Iscriviti alla Newsletter

Riceverai una mail con tutte le info per partecipare alla pratica gratuita

Iscriviti alla Newsletter

Riceverai una mail con tutte le info per partecipare alla pratica gratuita