Io ti amerò lo stesso.

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Il secondo grande pensiero di questo periodo (il primo te l’ho raccontato stretto stretto in un post che trovi su Instagram) è che posso amare lo stesso.

Nella vita sono sempre stata abituata a informarmi bene prima di elargire amore. Unica eccezione – a parte chi c’era già prima che io nascessi – mio fratello, ma ero così piccola quando è arrivato che non ricordo bene i passaggi. Ricordo solo che era bianco come un chicco di riso, le sue dita appiccicose si aggrappavano ai miei capelli e tiravano forte. Mi bastava questo. Non avevo idea di chi fosse, ma andava già bene così.

Per il resto, ho imparato con l’esperienza che l’intuito è una folgore e l’amore è conoscenza. Una persona mi ha folgorata e poi si è rifiuta di farsi conoscere, e così il mio progetto d’amore – che per anni ho confuso con un amore fatto e finito – è rimasto sospeso nell’aria tormentandosi per la sua incompiutezza come un fantasma che non trova la via di casa, fino a quando un essere speciale, su un tavolino del Frida in Isola, ha saputo avvicinarsi e dire “Vieni qui, infila le dita nel mio costato. Questo sono io, conoscimi pure”.

Negli ultimi mesi ho imparato che è possibile amare anche in un altro modo, senza costato e senza dita, senza sapere chi, senza sapere cosa e senza sapere nemmeno se.

 

Si va a fasi. (Trovi tutti i miei disegni su Instagram: fontanelle_by_celeste)

C’era un grumo di dolore e inquietudine all’inizio di questa gravidanza, e piano piano ho capito che questo grumo non era altro che una forma di incompetenza emotiva. In un modo solo avevo imparato ad amare, e così cercavo di procedere: aspettando con prudenza di sapere, di conoscere, di ricavare qualche informazione prima di lasciarmi andare, come fanno gli allievi diligenti dopo molti anni di psicoterapia.

Meglio aspettare il quarto mese per iniziare ad amare
meglio accertarsi che stia bene
perché se poi non va
chi mi raccoglie
come si fa?

Primo giorno del quarto mese.

 Il fatto è che nella gravidanza le regole dell’amore si ribaltano, e bisogna disimparare un po’ di quella sana forma di autoconservazione che nelle epoche della nostra vita, a suon di sofferenze e di “te l’avevo detto”, diventiamo sempre più bravi a praticare.

E così, un giorno qualsiasi, un’immagine scura ma non spaventosa è comparsa alle mie spalle proprio mentre cercavo la Grande Madre in meditazione. Ho dedotto che doveva trattarsi di Lei al 90%. Questa grande ombra non mi ha svelato niente; mi ha solo donato il calore di un abbraccio cosmico. Si è fatta schienale e mantello. Nella sua presenza mi sono sentita protetta e ho capito che per sciogliere quel grumo dolente dovevo imparare anche io ad abbracciare così, come fa Amma, come fanno Anandamayi Ma e Madre Teresa, che in fondo dei loro figli non sanno niente e niente si domandano – né da dove vengono, né se guariranno, né se sopravvivranno.

Non credere che un simile viaggio verso Calcutta sia stato lungo e tortuoso; in realtà è accaduto tutto in un istante di pensiero che diceva “io posso amare lo stesso”. Più che di un pensiero credo si sia trattato di una formula magica, perché quelle parole hanno prodotto un cambiamento tangibile. Non so da dove siano scaturite, forse da quei tre battiti di cuore racchiusi nella mia pancia – il mio, il suo e un terzo battito che distinguo nitidamente anche se nessuna ecografia l’ha mai rilevato, e che resterà per sempre un mistero nel mistero. 

Movimenti fetali notturni? (Chissà se sei davvero tu)

In quell’istante mi sono resa conto che talvolta l’amore liberatorio non è quello che ci conserva ma è quello che ci disintegra. Prendere in considerazione la possibilità di amare “già” e di amare “comunque” mi ha salvata dal grumo e da buona parte delle mie paure. Certo, la paura di perdere quei battiti e di ritrovarmi improvvisamente da tre a uno continua a togliermi il fiato, ma almeno ho conquistato la libertà di amare scopertamente colui o colei che già amavo di nascosto. Questo amore scoperto e disarmante mi da pace.

Rendermi conto che “io potevo amare lo stesso” è stata una piccola epifania che ha generato una rivoluzione interiore. Ho capito che niente avrebbe mai potuto impedirmi di vivere con pienezza la mia esperienza d’amore, pure nei confronti di un’anima che forse se ne sarebbe andata, e di poterla amare anche dopo la sua partenza, senza carne e senza latte, senza pretese che si incarnasse in uno di quei corpi che la società chiama “sani”, o peggio “normali”. 

Questa formula magica mi ha liberata, ha dissolto la censura d’amore e mi ha permesso di identificare a posteriori tutti gli ostacoli sociali e culturali, tutti i condizionamenti e le paure indotte che ci impediscono di esercitare una libertà fondamentale: quella di amare l’imperfezione, il limite, il dissimile, lo spaventoso, l’osceno e persino l’assente.

 

Il mantello della Grande Madre.

In una società che ci fa i cuori freddi educandoci ad amare nella certezza, nell’abilità, nella gratificazione e nella reciprocità, io penso di aver forse intuito l’esistenza di un sentiero che va in un’altra direzione. Chi vuole percorrerlo deve togliersi dalle spalle lo zaino delle speranze perché l’amore senza condizione è disperato e assoluto, in niente spera e a nulla si vincola.

Ogni giorno, dacché ho incontrato l’abbraccio della Grande Madre, mi salvo dalla mia paura ripetendo il mio mantra.

Chiunque tu sia
comunque tu sia
qualunque sia il tuo destino
io non ho niente da reprimere
io posso amarti lo stesso. 
 

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