Siamo foresta

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Milano è un forno.

Non c’è un altro modo per dirlo.

Queste espressioni che un tempo mi facevano molto ridere, oggi mi fanno molta paura. 

Solo qualche anno fa questo caldo devastante mi sarebbe sembrato l’inizio di una commedia all’italiana, una di quelle circostanze che in superficie danno fastidio a tutti ma sotto sotto attivano una complicità rocambolesca tra sconosciuti che all’improvviso hanno qualcosa di epico di cui lamentarsi insieme. 

Oggi no, nel 2023 non c’è niente di rocambolesco, niente di mediterraneo, niente di estivo in questo clima minaccioso, in questo forno che brucia per davvero, mica per modo di dire. 

Ma Corina è nata nel 2023, ed è oggi che lei, a soli quattro mesi, ha un disperato bisogno di questo mondo ostile. È oggi che lei ha voglia di uscire ed è oggi che io devo inventarmi una bella storia per trasformare una crisi climatica nell’estate spensierata che lei si merita di vivere. 

La nostra, ma soprattutto la sua prima estate. 

Per un istante io e Giancarlo abbiamo temuto di dover battere tutti i centri commerciali della zona. “Il pomeriggio al centro commerciale” è quella roba che credevi facessero solo gli altri, un’istituzione per genitori disperati che parcheggiano i figli nell’area giochi del Fiordaliso di Rozzano. In realtà, quando diventi genitore, scopri che quelle-cose-così-un-po’-patetichine viste da fuori, sono in realtà piene di divertimento e tenerezza quando le vivi da dentro.

Fatto sta che al centro commerciale ci siamo finiti, ma solo un pomeriggio, perché poi si è aperto un cassettino della memoria antica, quella della nostra vita precedente da hipster, e ci siamo ricordati che esistono i musei. Che non sono vietati ai bambini. E che ad agosto i musei sono vuoti. 

Ieri siamo stati in Fondazione Prada a non capire, per l’ennesima volta, se la permanente nella “Haunted house” sia una gran figata o una gran cagata, e oggi invece siamo andati in Triennale. Abbiamo intercettato per pura fortuna una mostra incredibile che consiglio a tutti, anche a chi non è alla ricerca di un parco giochi per una bambina di quattro mesi. Vale la pena di andare a vederla questo weekend, prima che tornino i milanesi, anche se il clima dovrebbe finalmente rinfrescarsi. 

Si chiama “Siamo foresta”. 

Abbiamo scoperto che Corina davanti ai quadri si entusiasma, fa versetti che rimbombano in tutta la sala e muove le gambe come se i colori fossero musica. Per l’occasione abbiamo girato il suo passeggino “fronte mondo” per permetterle di entrare nei disegni, come accade quando si va a passeggio con Mary Poppins. 

La mostra di oggi era piena di ciò che io amo di più: disegnetti a pennarello e matite di quelli che tutti pensano “Questo sono capace di farlo anche io”. Ecco, per me quella constatazione non è il motto provocatorio di chi vuole demolire l’arte contemporanea, è una dichiarazione di gratitudine verso la generosità dell’arte, che fa succedere i suoi miracoli senza bisogno di proteggersi dietro alla tecnica, nella pura genialità. 

La cosa grandiosa di questa mostra è che i miei adorati disegnetti sono immersi in una specie di foresta amazzonica fatta di bellezza e brutalità, ferocia e meraviglia, forza e fragilità – tutto ciò che la natura umanizzata e disumanizzata sa essere per i suoi animali accaldati. 

E così, tra lessici di formiche, giardini zen tropicali, piedini entusiasti e paradisi perduti, io, Giancarlo e Corina abbiamo avuto la sensazione di essere in vacanza nella nostra vacanza preferita, il tempo sino ad oggi inconcepibile che sa tenere insieme la nostra vita da genitori e le nostre passioni di sempre. Abbiamo intuito quanto è grande la gioia di condividere con la nostra bambina ciò che amiamo, e abbiamo scoperto che i suoi occhi e la sua presenza hanno la capacità di amplificare la bellezza delle cose che ci sono sempre piaciute, riportandoci all’emozione primaria della scoperta. 

Dopo un’ora e passa di visita e gorgheggi, Corina era affamata come un cucciolo dell’Amazzonia, e così abbiamo trovato uno spazio per fare il suo gioco preferito: poppare, guardarmi e ridere, poppare, guardarmi ridere. Non mi ricordo più in che modo è diventato così disordinatamente divertente e naturale un momento che fino a un mese e mezzo fa per me e i miei capezzoli doloranti era un incarico austero e sacro, una sorta di sacra tortura. 

Prima di tornare a casa abbiamo fatto un giro nel negozio della Triennale, che resta una delle mie librerie preferite in assoluto. La selezione è straordinaria e mi sono segnata un paio di titoli che dovrò assolutamente comprare, un librone verde di Nottetempo e uno arancione di Adelphi. A casa con noi per ora è venuto solo il catalogo della mostra, che spero possa ispirare in futuro i disegni di Cora, e i miei già da subito. 

Non me l’aveva mai detto nessuno che a quattro mesi i bambini sono già bambini, e che io sono mamma di una bambina vera per davvero. Ancora una volta è stata Milano a mostrarmi questa gigantesca cosa vera di me.

 

Questa città è così furba che fa capitare miracoli inattesi, proprio quando in giro c’è solo solo un pugno di turisti francesi impermeabili al caldo soffocante ma dotati, loro, di una risposta tranchante all’enigma della Haunted house di Fondazione Prada. Scendendo le scale verso l’uscita, la signora visibilmente indignata ripeteva tra i denti “Horrible, vraiment horrible”, e io tra me e me pensavo “Mffff, tutta invidia”.

 

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