Mentre il mio aereo vola senza turbolenze verso Santiago, io ho voglia di provare per una volta a scrivere di amore. Non di amore per se stessi, per la natura, per il divino o per la vita. Non di quell’amore celeste che è facile accostare alla spiritualità, ma di quell’altro, quello che i Greci disegnavano con il volto di Afrodite Pandemia, l’amore “di tutto il popolo”. Faccio fatica e i minuti si rincorrono senza caratteri perché questo è il mio vero tabù, l’argomento velato che non riesco a dire.
Si narra che i saggi siano come montagne che riposano al centro del mondo e questa visione minerale della pace interiore mi fa spesso sentire come se il cuore – una parola vietata, troppo dolciastra per essere scritta – dovesse restare sempre fuori dai miei diari. Agli Yogi dopotutto interessa l’equilibrio assoluto, quello stato di grazia in cui il vuoto diventa pieno e saporito come una pesca, non l’istante imperfetto e fuggente in cui la passione viene a ricordarci che siamo solo esseri umani. Il cammino del praticante si inerpica su sentieri che puntano al cielo, a nessuno importa dei concetti orizzontali che ci fanno sentire di nuovo così banali.
Eppure, se c’è una cosa che ho imparato a capire di ciò che si dice e si scrive, è che i temi davvero importanti sono quelli che fatichiamo a tirare fuori. E anche in questo caso la mia reticenza nasconde una verità un po’ imbarazzante da condividere, e cioè che l’amore profano, l’amore per le persone che mi hanno fatta innamorare, donne e uomini, è il più grande motore e il più grande contenuto di tutta la mia pratica da sempre. Lo Yoga è stato ed è per me prima di tutto il rituale sacro che ripara i tessuti e le fibre del corpo vissuto, talora consumato, dall’intensità dell’amore, è il magnete che ricompatta le cellule al centro dopo la grande centrifuga della passione, è il profilo che rimane a fuoco mentre tutto l’individuo disperde la sua integrità nell’esperienza travolgente dell’altro.
A volte ho creduto e persino temuto che praticando la meditazione e perseguendo l’equilibrio interiore avrei visto il fuoco dell’amore affievolirsi e sarei diventata stoicamente distaccata. Il fantasma della glaciazione mi ha molto limitata nei primi anni di pratica. “Resistevo” alla serenità perché avevo paura che il prezzo da pagare fosse il sacrificio dell’amore profano, che è da sempre il Mio, il Solo. In realtà, quando ho smesso di oppormi alla ricerca del mio bene, ciò che ho visto accadere è l’opposto di ciò che mi aspettavo: prendere casa nello Yoga non ha intorpidito la vivacità delle mie emozioni, anzi, le ha rese allo stesso tempo più profonde e più leggere. Profonde come l’immersione di chi possiede un’àncora affidabile, leggere come la diaspora spensierata di chi ha una patria a cui tornare.
La via del non attaccamento non mi ha resa meno sensibile al richiamo dell’amore – al contrario, mi sento sempre più nomade e selvatica, sempre più libera dalle definizioni, sempre più coraggiosa nella mia selva priva di cartelli stradali. Allo stesso tempo, mi sembra che la pelle si sia assottigliata e che la verità delle emozioni possa affiorare senza troppi passaggi. Il dolore arriva subito, non si nasconde più nell’involucro della rabbia. Il desiderio parla chiaro, non serve più che la paura confonda le acque. L’estasi è concessa, non c’è bisogno che il senso di colpa la interrompa. Quando la dimora interiore si consolida, l’amore si può onorare nella molteplicità delle sue forme, non servono procedure, rassicurazioni, certezze, tempistiche, patti, contratti, presupposti.
Se osservo com’è cambiato il mio amore attraverso la pratica, mi convinco che le montagne dei saggi siano solo dei vulcani pacifici. Nel frattempo il mio aereo è atterrato, e Santiago mi acceca con un sole vorace. Potrei combattere questa luce e ritirarmi per la siesta fra le mura della mia pensione, ma preferisco non resistere. Qui dentro, nella vasca di questo calore, c’è il segreto del prana, della fotosintesi, della linfa, del seme e del frutto. E’ qui che ho ancora bisogno di stare, non voglio perdermi neanche un passaggio.

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