Oggi vi parlo di un libro che è entrato nella mia vita senza successo circa quindici anni fa.
Fu il consiglio prematuro della mia prima psicologa veggente.
È rimasto sui miei scaffali insieme alle pagine dimenticate che continuano a chiamarti ma tu non le senti. Ha lo stesso colore di un’altra copertina troppo difficile per essere letta: la mia edizione di “Viaggio al termine della notte” è proprio di questo viola qui anni ‘90. Ma Céline non ha alcuna speranza che io riesca a leggerlo davvero, invece Annick de Souzenelle stava solo aspettando che maturassi.
Questo libro è un saggio ma è anche un libro molto saggio, scritto da una donna giudeo-cristiana che cercava una ragione di vita e di vento fra le pieghe della sua quotidianità soffocante. E la trova nella lingua, nei segni e nel corpo, nell’albero della Sefirot e nelle radici dei polmoni, nella postura e nelle porte che ci separano dal mondo.
Questo libro è importante perché spesso ci dimentichiamo che il corpo non è solo dell’Oriente e che il giardino sotto casa conserva tesori che talvolta non abbiamo voglia di scoprire. Preferiamo gli aerei ai gradini, ma qualunque punto del mappamondo è perfetto per chi vuole davvero scavare.
Questo post è comparso sulla mia pagina Instagram a febbraio 2020)