Che voce ha la visione?

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Man mano che la mia pratica si affina, imparo a capire l’importanza di trovare un mantra – fosse anche solo una parola – che segni la strada come una bussola e ci aiuti a farci largo nella selva dei “fenomeni”. I fenomeni attorno a noi girano come ingranaggi cosmici, in un continuo proliferare di incontri, persone, dinamiche, eterni ritorni. Il mantra ci aiuta a tenere presente qual è la nostra posizione rispetto alla confusione dei pianeti, come la sveglia che ci riporta fuori dal sonno, come la sberla che trasforma il neonato in un essere di questa terra. Più recito, medito e pratico, più mi accorgo che la parola è il nostro scalpello: solleva i tormenti della superficie e rivela cosa si cela sotto alla danza seducente della realtà.

Non ho il coraggio di dire che il mantra è la voce della nostra “profonda visione”, ma una parte di me, forse, lo pensa.

La visione, in ogni caso, è il contenuto della parola-guida: trovare la propria significa riuscire a dire “io so perché questi fenomeni si stanno manifestando”. Si tratta anche di definire il vero tema della prova karmica a cui siamo sottoposti; è come intuire quale muscolo spirituale ci viene chiesto di allenare. In generale, riportare l’attenzione a quella parola significa rimuovere la polvere confusa delle manifestazioni e andare dritti al punto, lasciar perdere il dito e puntare alla luna.

Credo che il nostro mantra non debba essere più di tanto cercato. Si tratta piuttosto di rimanere aperti al suo arrivo, che spesso è veicolato da coincidenze e strane ripetizioni. Allo stesso modo, quando la prova karmica è superata, il mantra va lasciato andare con gratitudine. Prima della partenza per l’India, il mio mantra era “Coraggio”. Come i segnali luminosi di un faro, la vibrazione di questa parola accompagnava le mie pratiche e infondeva un senso e una direzione alla mia barca spaventata. Ripetendo, recitando, masticando “coraggio” (ad alta e a bassa voce, nel movimento e nella meditazione), la parola ha trovato radicamento e riscontro reale nella mia vita. Nel momento stesso in cui si realizza, il mantra perde la sua carica magnetica e torna ad essere uno dei tanti vocaboli del nostro lessico quotidiano.

Credo di aver capito che nella maggior parte dei casi il passaggio da un mantra al successivo è un tragitto di piccola entità. Come dire “oggi lavoro sulla pazienza, domani lavoro sulla forza”. Talvolta però può accadere che questo passaggio diventi un salto quantico, che segna nella nostra vita un prima e un dopo: quanto più nudo, illuminato e sostanziale è il mantra, tanto più radicale sarà l’effetto del suo compimento nelle nostre vite. Mi piace pensare che per comprendere questo punto si possa fare riferimento agli albori del cristianesimo e a quel processo mistico che si è compiuto quando “l’incarnazione del verbo” ha sconvolto la storia dell’umanità.

In un certo senso, afferrare la giusta parola significa liberarsi dalla coazione a ripetere e trovare una postura attiva, intelligente e consapevole dentro agli eventi. Significa portare a compimento il proprio compito karmico. Lasciare spazio dentro di sé a quel grande vuoto che ci permette di prendere tutto, di surfare le onde con padronanza e passione, di trasformare il caso in una vocazione e i desideri in illuminazione.

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